I fenici in Sicilia

di Gaetano Basile

Fu all’incirca ottocento anni prima della nascita di Cristo che i Fenici fondarono Mozia, Palermo e Solunto. Un secolo prima avevano fondato Cartagine, nell’area accanto alla odierna Tunisi.

Omero, nell’Odissea, e per la prima volta, chiama Phoinikes quei popoli che venivano dalla regione siro-palestinese. Grosso modo dall’odierno Libano.

Avevano inventato il sistema per colorare di rosso le stoffe con la porporina contenuta nella conchiglia di un mollusco. In greco, quel colore rosso porpora, si dice phonix.

I Fenici li ritroviamo, citati nell’Antico Testamento, come abitanti della regione di Canaan e, quindi, chiamati cananei. E con “cana” s’intendeva in aramaico, la lingua di Cristo, proprio il colore rosso porpora.

" Murice veniva lavorato per l'ottenimento del colore porpora"

” Murice veniva lavorato per l’ottenimento del colore porpora”

Come loro stessi si definissero non lo sappiamo. Forse non lo sapremo mai.

Non furono un popolo unitario, ma abitanti di tante città-stato: Beirut, Sidone, Tiro ecc…

Furono abilissimi carpentieri e marinai. Basta vedere le loro navi costruite con una raffinata tecnica di prefabbricazione. Osservando attentamente il relitto della nave punica a Baglio Anselmi, a Marsala, appare evidente come  sia ancora attuale quella tecnica. In Sicilia costruiamo ancora così le imbarcazioni in legno.

" Resti di nave presso Baglio Anselmi - Marsala "

” Resti di nave presso Baglio Anselmi – Marsala “

Che fossero bravissimi carpentieri lo dice il fatto che per costruire il famoso tempio di Salomone, si chiamarono gli esperti fenici.

Marinai intrepidi, toccarono i più importanti approdi del Mediterraneo. Superarono le Colonne d’Ercole, lo stretto di Gibilterra, e raggiunsero la lontana Cornovaglia per rifornirsi di stagno. Secondo alcuni studiosi, pare che abbiano raggiunto pure il Sud Africa per acquistare oro, e che abbiano fatto il periplo dell’Africa.

Untitled-1Di certo non furono bellicosi, ma solo pacifici commercianti. Operatori economici, li potremmo definire con linguaggio dei nostri giorni. A loro si attribuisce l’invenzione dell’alfabeto che fu, a rifletterci bene, la telematica dell’epoca.

 

Ma che vendevano esattamente? Proviamo a scorrere un loro ipotetico catalogo e vediamo che ci sono: stoffe colorate, porporina per colorare i tessuti, ma pure gatti che rubavano agli egiziani, per i quali erano animali sacri. E non solo deterrente contro i topi. Naturalmente ne era proibita l’esportazione.

Sempre dall’Egitto ci portarono un curioso cane a pelo corto con occhi stranissimi: era il cirneco. Dal latino Cyrenaicum, cioè cane di Cirene. Per i cinofili odierni è il “cirneco dell’Etna”. Un cane da caccia specializzato in conigli.
Ma pare ormai assodato che ci vendettero pure cavalli di sangue orientale, arabi ante-litteram. E pure tanti asini che venivano dalla Mesopotamia. Lasciati in “acclimatazione” sull’isola di Pantelleria, prima di essere venduti sulle rive del Mediterraneo.

Head_man_Carthage_Louvre_AO3783Assieme ad oggetti in vetro, lastre di vetri colorati, gioielli in oro e avorio, essenze profumate, vasetti e ninnoli. Insomma, tutto quanto era possibile vendere o barattare.

 

Molto originale il loro sistema di vendita. Il loro marketing, se permettete, fu frutto di lunghe osservazioni e riflessioni sui comportamenti difensivi dei rivieraschi nei confronti di chi veniva “dal mare”. Si trattava di vincere una naturale diffidenza verso sconosciuti marinai.

Scaricavano, allora, le loro merci sulle spiagge disponendole in mucchi di quantità diverse. Poi risalivano sulle loro navi e aspettavano che si facessero vivi i clienti con i quali intavolavano lunghe trattative a gesti. Gesti, come linguaggio del corpo e quindi, di facile comprensione. Una specie di esperanto fatto però di gesti che, per fortuna, sono giunti fino a noi.

Perché i gesti, come la parole, sono antichi e nuovi.

Ha studiato i nostri gesti Giuseppe Pitrè, il notissimo etno-antropologo, ma la professoressa Charlotte Sagoff, una studiosa americana del MIT di Boston, ha studiato il linguaggio dei gesti fenici. Con un paziente lavoro di ricerca ha scoperto un linguaggio  dei gesti comune ai territori toccati dai Fenici. In pratica quasi tutta la zona costiera del Mediterraneo; in Italia, invece corrisponde all’incirca, ai territori dell’antica Magna Grecia.. Sono i gesti che usiamo ancora noi siciliani per numerare con le dita: l’indice della mano destra per indicare uno, con il medio per due, aggiungendoci il pollice per fare tre ecc. Provate a fare numerare con le dita un milanese, un tedesco o un inglese e vedrete subito la differenza.

Lo stesso per il nostro “no”, espresso significativamente alzando il capo e facendo schioccare, contemporaneamente, la bocca. Secondo la studiosa americana sarebbe il “no” primordiale. Quello del bambino che rifiuta il capezzolo materno producendo, appunto, quel rumore.

E poi provate a dire con i gesti: io, tu, noi, voi…E le quantità: poco, pochino; fino alla bontà delle merci espressa con la mano destra chiusa e l’indice che fuoriesce portato alla guancia e fatto ruotare. Ed ancora i gesti per indicare le necessità biologiche elementari come il mangiare, il bere, il dormire.

Esattamente come facciamo noi siciliani ancora oggi.

Naturalmente il loro saluto era da marinai. Presso tutti i popoli, infatti, il saluto era dato dalla mano destra aperta e sollevata per dimostrare che era mano disarmata e, quindi, amica. I fenici ci aggiunsero l’apertura e chiusura che ne fece un saluto più “lampeggiante”, più visibile da lontano. Un saluto da marinaio.

Ma il gesto più curioso, con la storia più travagliata è quello con l’indice ed il medio alzati e ruotati lentamente con un significato magico-propiziatorio. Come tale, e contornato da simboli magici, lo troviamo riprodotto sui muri di alcune case a Pompei. Poi se ne impadronì il culto cristiano-cattolico che ne fece un gesto benedicente che dal Papa va fino al prete di campagna. E’ il gesto benedicente del Cristo “Pantocratore” delle cattedrali normanne: Cefalù, Monreale, Cappella Palatina.

Quel gesto però ci ritorna, in epoca più recente, per indicare il morto, o la minaccia di morte. Collegato, forse, all’estrema unzione.

Questi abilissimi, pacifici uomini di marketing del mare, furono accusati di sacrificare bambini. I resti rinvenuti in piccole urne lo farebbero pensare. Però, anche nella regione palestino-giudaica si sono trovati scheletri di bambini chiusi in giare.E allora? Che dobbiamo pensare?

Forse furono menzogne messe in giro dalla concorrenza….


Foto BasileGaetano Basile

Autore

Palermitano doc, è giornalista ed autore di testi teatrali, ma anche enogastronomo appassionato e narratore avvincente. Ha alle spalle un’intensa attività giornalistica televisiva come divulgatore di tutto ciò che è cultura siciliana

 

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